di Francesca Cianciulli, classe IIID
Una notte ad Elsinore, in Danimarca, due sentinelle di nome Bernardo e Francesco invitano un amico del giovane principe Amleto, Orazio, ad osservare le mosse del fantasma che nelle ultime due notti aveva fatto visita. Orazio stente a credere a tutto ciò, ma in contrasto con la sua incredulità e il suo scetticismo vede finalmente la figura del defunto re Amleto, che sparisce alle prime luci dell’alba e avvisa subito il giovane Amleto. Quest’ultimo, decide di fare il turno di notte per credere alle sue parole e infine riesce a parlare con il suo defunto padre, che gli chiede di essere vendicato poiché quello che adesso è re Claudio, il fratello di re Amleto, lo ha avvelenato con del giusquiamo, facendo intendere che fosse una puntura di serpente. Gli riferì anche che oltre ad impossessarsi del Regno, aveva sposato sua moglie Gertrude. Il giovane Amleto per avere certezza, ancora una volta, delle parole del padre, chiama una troupe di attori per mettere in scena la morte di re Amleto. Allo stesso tempo il re e Polonio, ciambellano di Elsinor, fanno incontrare appositamente Ofelia, sua figlia, e Amleto, perché credevano che la causa della sua pazzia dipendesse da lei. Lui, però, non dimostra alcun segno di affetto e le consiglia di andare in convento. Dopo aver messo in scena lo spettacolo, ebbe la certezza della colpevolezza dello zio quando egli si alza e se ne va. Viene chiamato dalla madre a spiegare il suo comportamento e per sbaglio uccide Polonio, che stava facendo la spia per il re. Così re Claudio decide di spedire Amleto in Inghilterra, accompagnato da Rosencranzt e Guildestern che avevano l’ordine di ucciderlo. Intanto Laerte, torna dalla Francia dopo aver saputo la morte del padre e decide, assieme al re, di uccidere il principe Amleto con una spada intrisa alla punta di veleno e se avesse avuto sete, durante un duello tra i due, gli avrebbero dato una bevanda avvelenata. Ofelia, diventata anch’essa pazza dopo la morte del padre, si getta in un lago e si toglie la vita annegando. Amleto vince il primo duello con Laerte e la regina per brindare beve dalla coppa avvelenata e muore, i due, infine, si colpiscono a vicenda e Laerte in punto di morte riferisce tutta la verità ad Amleto, il quale, preso da ira e odio, uccide re Claudio, prima di accasciarsi al suolo, morto.
Il Rinascimento inglese risentiva molto del Rinascimento italiano, per la sua espressione e grandezza nelle arti, era in sé per sé la Rinascita stessa del sapere, della perfezione dell’uomo, dell’armonia e dell’incastonare perfettamente la sua genialità e maestria. L’Italia agli occhi degli inglesi era vista come la “culla della civiltà”, la culla della scultura, della pittura, dei grandi poeti e scrittori, ma era vista soprattutto come il centro dei più grandi peccatori e delitti. In realtà, il Rinascimento inglese si distingueva e si esprimeva attraverso il teatro, il teatro elisabettiano. Shakespeare attraverso i suoi drammi, le sue commedie e le sue tragedie diventa protagonista del Rinascimento britannico, bensì i suoi personaggi- che diventano marionette- fanno la storia del teatro inglese. Ogni aspetto delle sue opere presenta una contraddizione, per ogni immagine mostrava l’immagine capovolta, la vita e la morte, la virtù e il peccato, la crudeltà e la compassione. Mentre l’Italia esaltava la vita, l’Inghilterra era priva di quella serenità con cui noi componevamo e realizzavamo. Shakespeare rappresenta la volontà che è volta all’immaginazione di un’azione, e quindi l’immaginazione della vita e della realtà e si serve del volto di Amleto per esprimere ciò. Il giovane principe, si finge pazzo per scoprire la verità e in lui riversa un mondo reale che è interamente parallelo all’idea della vita, ma se fosse stato realmente pazzo non avrebbe passato parte della sua vita a tormentare se stesso e se ne sarebbe fatto una ragione, come afferma Pirandello. Il suo dramma era non sapere la certezza della realtà, perciò si nascondeva dietro la famosa maschera di Amleto, dove si celano mille volti e tanta solitudine. La pazzia è soltanto un momento della rappresentazione di Amleto, non tutta. Credo che il giovane principe abbia ucciso re Claudio non per vendicare il padre, bensì per vendicare se stesso, dopo aver appreso da Laerte le vere intenzioni dello zio, perché “il fine non giustifica i mezzi” e la pazzia non può giustificare un assassinio, perciò non gli sarebbe servito fingersi fuori di senno per compiere la vendetta. Quando Amleto incontra finalmente il suo defunto padre, mi sovviene immediatamente la legge del contrappasso di Dante, padre della lingua italiana, poiché lo spettro afferma che è condannato a passeggiare di notte e a digiunare in mezzo al fuoco, di giorno, finché non saranno purgati e bruciati i delitti compiuti nei suoi giorni terrestri. Ciò che mi ha colpita di più è stata la scena del cimitero dove un becchino getta dei teschi ed Amleto si chiede di chi fossero e cosa facessero in vita, questo rappresenta la precarietà dell’esistenza umana, la vita che è piena di piaceri e virtù, ma che se non vissuta a pieno è soltanto lo scorrere del tempo inesorabile. Come afferma Lorenzo de’ Medici nel “Il trionfo di Bacco e Arianna”, e Salvatore Quasimodo in “Ed è subito sera”, dove invitano a godere la giovinezza della vita poiché l’attimo è fuggente. È una tragedia pervasa da tirannia e sete di potere, tradimento e morte, la moltitudine di sfumature lo rende unico e sfuggente a se stesso.
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