Le interazioni con i compagni per me hanno avuto valore fin dagli anni dell’asilo. Con il tempo sono diventate a dir poco fondamentali. Ci sono state amicizie, e gli amici, come i libri d’altronde, vanno scelti con cura, e ci sono state milioni di piccole azioni che mi hanno indotto a pensare che le persone vere non mandano ombre, o peggio, MASCHERE a parlare con me. Sarà il solito discorso amici veri - amici falsi che nessuno ha più pazienza di ascoltare, ma tirando le somme la banalità di questo concetto è il motivo per cui a 13 anni non stiamo più a rincorrerci giocando all’acchiapparello tutti insieme, ma con la cravatta di carta e i baffi disegnati a discutere in un convegno sull’ORLANDO FURIOSO. Per me non è una domanda se mi importa avere successo con i compagni. Dire che mi importa è un eufemismo. Come dire che Dracula è un bevitore di sangue: è molto di più. Essere apprezzati dagli altri è il modo per vedere sé stessi riflessi nelle iridi altrui per scoprire come le altre persone ci vedono. Le iridi mentono perché non sono specchi, solo riflessi. Come vedere la luna nell’acqua o le forme bitorzolute del corpo nel lavandino. Inutile. Potrò scriverci volumi e libri sul fatto di essere apprezzati o meno, ma non giungerò a nessuna risposta soddisfacente se non quella che dobbiamo avere fiducia, in primis, in noi stessi e bla bla bla. Ascoltare i soliti discorsi come se il disco si fosse bloccato ci ha stancati. Per una volta bisogna veramente seguire il consiglio. Ma è davvero inutile che io lo dica. Perché per quanto mi sgoli o scarichi la mia stilo io sono la prima a mettermi i tappi nelle orecchie o le mani sugli occhi per non sentire la mia stessa voce o vedere la mia malridotta calligrafia. La fiducia la si acquista col tempo. E col tempo vola via anche l’adolescenza. Non trovo, dunque, via d’uscita al dilemma. Non so come mi vedono gli altri e non sono tanto sicura di volerlo sapere: scoprirò cose che non mi è permesso sapere ad anima viva. Se agli altri piaccio o no è un problema prettamente altrui. Loro avranno la mia faccia davanti agli occhi e il mio carattere nella testa, sopporteranno il fatto, triste verità, che non sono come le loro menti pensano che io sia. Sono una di quelle farfalle che svolazza nel loro stomaco provocando un fastidio pazzesco, unico e inimitabile. Oppure una di quelle rose che, mentre tutte le altre sfioriscono e si disabbelliscono raggrinzandosi, resta viva e vegeta e con il capo alto, petali dorati che al sol tocco della mano si scostano. Spero di aver dato l’immagine giusta, ma, in caso contrario, sopporteranno anche questo…

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